Niente di cui stupirsi

Quando le formazioni che partecipavano, in varie prospettive, al processo di costruzione dell’esperienza del Confederalismo Democratico combattevano vigorosamente contro le bande del Califfato Islamico, prima difendendo strenuamente Kobane e poi espandendosi verso sud e verso la riva destra dell’Eufrate, queste venivano unanimemente considerate eroiche dai vari media occidentali. Certo, si tendeva a nascondere i caratteri più propriamente politici di quell’esperienza e l’appoggio era un appoggio giocoforza, se non obtorto collo. La contestuale insurrezione in Bakur costringeva Ankara ad aprire le frontiere per permettere ai profughi in fuga dai territori conquistati dall’ISIS di lasciare in relativa sicurezza il territorio del Rojava. Le mobilitazioni nel Kurdistan irakeno costringevano il governo locale ad offrire il suo appoggio militare al PKK e al PYD in Rojava. La Turchia subiva uno smacco internazionale, vedendo ostacolato il suo tentativo di espansione a sud. Gli USA controvoglia si trovavano a dover eleggere gli organi del Confederalismo Democratico del Rojava a partner privilegiato in Siria. Lo stesso faceva la Russia.

Di acqua sotto i ponti ne è passata. Ora la Turchia, forte di una rinnovata intesa con la Russia di Putin e necessitata dalle proprie contraddizioni interne a rinnovare lo sforzo imperialistico da più di un mese ha posto sotto attacco diretto il cantone di Afrin in Rojava. Gli USA e gli stati UE dopo l’appoggio al “golpe degli imbecilli” in Turchia hanno perso la leva diplomatica con Ankara. L’AKP è riuscito a rafforzare la sua presa sul potere, ha condotto una spietata campagna militare nel Bakur, che ancora si trascina, una feroce repressione interna contro tutte le opposizioni, ha stretto una, per ora, solida alleanza con gli ultranazionalisti dei Lupi Grigi e poi è passata direttamente all’attacco sul territorio siriano, in spregio al diritto internazionale, che si dimostra ancora una volta essere l’ectoplasma che è sempre stato.

La campagna militare nel cantone di Afrin non è stata facile per Ankara. Le iniziali dichiarazioni baldanzose di una campagna di due settimane si sono infrante contro l’ostinata resistenza delle SDF. La guerra di movimento si è impantanata in momenti di vera e propria guerra di posizione e di logoramento. Ovviamente alla lunga la superiorità tecnica dell’esercito turco e l’uso sempre maggiore di bande di jihadisti, le stesse che prima erano si erano raccolte nell’ISIS, ha permesso di sfondare, al prezzo di un numero imprecisato ma alto di morti tra le file islamiste e tra le file turche, le difese perimetrali di Afrin. Mentre scriviamo questo articolo le forze turche sono riuscite a penetrare entro l’agglomerato urbano e ora si prevede una lunga guerra urbana, una di quelle logoranti e con centinaia o migliaia di morti che sono caratteristiche della guerra contemporanea. Certo la Turchia ha il vantaggio tattico dell’aviazione e delle truppe meccanizzate ma quanto questo vantaggio sia valido è tutto da dimostrarsi, anzi: la guerriglia urbana in Irak, le battaglie di Sadr City in primis, e le stesse esperienze siriane dimostrano che questi vantaggi non sono per forza decisive.

Nel frattempo coloro che celebravano le YPG/J all’epoca della battaglia di Kobane, e successivamente le SDF, ora ignorano bellamente quanto sta facendo la Turchia. Forse perché ci si troverebbe a dovere segnalare che le armi che Ankara usa per attaccare il Rojava sono armi vendute dalle industrie belliche europee e americane. Forse perché per ragioni di opportunità non si può criticaTallidere apertamente un alleato NATO che ha svolto e svolge il ruolo di bastione occidentale nel contenimento prima dell’URSS e poi della Russia. D’altra parte pure l’intesa tra Turchia e Russia non potrà durare per sempre: gli interessi in Caucaso e Mar Nero sono in profondo contrasto. Come d’altra parte il vecchio sogno panturco, la creazione di uno spazio che dall’Anatolia vada fino ai territori turcofoni del polo dell’inaccessibilità eurasiatico, vede opporsi oltre la Russia anche la Cina, che con l’islamismo indipendentista Uiguro combatte da decenni.

Niente di nuovo, niente di cui stupirsi, dicevamo. Le dinamiche degli scontri tra imperialismi non sono mai cambiate più di tante nel corso del secolo. Certo a farne le spese vi sono ancora una volta i proletari. Nelle zone di guerra la libertà ha un prezzo: potere andarsene con i propri conti in banca. Chi non è ricco o muore o diviene profugo o sopravvive sotto le bombe.

La democrazia diretta e il Confederalismo Democratico apocista non sono i modelli ideali cui punta chi si ritrova nell’anarchismo. Certamente però è un modello che ha saputo mostrare sul campo di potere creare un mondo più giusto, equo e solidale rispetto agli stati nazionali, che ha saputo scuotere alle fondamenta il patriarcato nei territori in cui si è trovato ad agire e ci indica che un altro mondo è necessariamente possibile.

La guerra voluta dalla borghesia turca investe direttamente questo modello in nome dell’espansione della sfera di influenza di Ankara. Così come investe direttamente i proletari turchi coscritti e mandati a morire per gli interessi dei padroni. Contrastare l’attacco turco al Rojava è un compito che spetta a chiunque si ritrovi nell’idea che non una goccia di sangue vada versata per arricchire il padronato.

Tallide

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